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La scuola in estate è una proposta valida?

Il Ministro dell'Istruzione ritiene che, dopo un anno scolastico, a dir poco difficile, la scuola debba recuperare in termini di apprendimento e di socialità il tempo perduto, o meglio trascorso in Dad. E a questo fine il governo ha messo a disposizione delle scuole una somma di denaro utile per la retribuzione di quei docenti e di quegli ATA che avrebbero accettato di partecipare al progetto. Dunque è evidente che la partecipazione è del tutto libera sia da parte dei docenti che degli alunni. E, se è chiara l'intenzione del ministro di fare qualcosa di utile per chi della pandemia ha risentito e continua a risentire in modo anche grave, è altresì chiaro che non sono state valutati alcuni aspetti, che, secondo me, non sono assolutamente secondari e che non possono essere sottaciuti nella speranza tutta italiana che in un modo o nell'altro le cose alla fine si sistemano. E per diversi ordini di motivi. Innanzitutto, se si fa riferimento alle attività motorie mi chiedo quanti edifici scolastici siano dotati di spazi aperti e salubri o di attrezzature utili a ritemprare la salute dei ragazzi. E, ahimè, la risposta è negativa, perché quale sia la situazione degli edifici scolastici in Italia, è noto a tutti e non è certo confortante. Se invece si parla di recupero di competenze non raggiunte durante questo drammatico anno scolastico, allora la questione cambia aspetto e va valutata in ben altro modo. Sempre considerando la volontarietà dei docenti e sempre tenendo presente il bene dei ragazzi.

Ma, e aspetto ancor più importante, il ministro è sicuro che i ragazzi siano disponibili anche durante l'estate e, ribadisco, dopo un anno con le caratteristiche che conosciamo, a varcare i cancelli della scuola pur se per recuperare socialità? A meno che non si pensi, ma è evidente che le scuole secondarie di secondo grado sarebbero escluse, alla scuola come luogo di accoglienza utile anche ai genitori, che senza alcun dubbio e non di rado hanno dovuto trascurare il lavoro per aiutare e custodire i figli più piccoli. In questa ottica, però, la questione cambia completamente aspetto, perché si tratterebbe di un prolungamento dell'anno scolastico che in tal modo vedrebbe la scuola quale sostituta delle famiglie e delle madri soprattutto.

Ma fin qui non ho fatto riferimento alla stanchezza dei docenti, tutti egualmente esausti dopo le ore trascorse davanti ad un computer a spiegare ad un "pubblico di utenti" assai spesso distratto o poco attento. Come era ed è inevitabile, ma che ha stancato e avvilito i docenti tutti consapevoli della situazione. Ma, non si può trascurare un aspetto, che è importante da considerare prima di poter condividere eventualmente il progetto ministeriale e, cioè, l'età non giovane della maggior parte dei docenti.

Una realtà di cui spesso si sente parlare anche dai mass-media, ma che è irrisolvibile dal momento che esistono regole rigide sui pensionamenti. Perché insegnare fino a sessantasette anni o quasi, non è certo facile. L'insegnamento, infatti, è una di quelle professioni che richiede vigore ed entusiasmo, che certo l'avanzare dell'età non può che affievolirsi, pur con la migliore buona volontà. Lo so, tutti ci siamo sdegnati nell'apprendere di insegnanti, ma non solo, andati in pensione a quaranta anni e con il minimo di servizio, ma ora la situazione è stata davvero rovesciata e senza appello, se non in casi del tutto eccezionali. Bene a questi insegnanti si è dovuto chiedere, certo per necessità, di imparare ad usare la tecnologia, di saper governare una situazione non facile oltre che assolutamente nuova assai spesso senza una adeguata pregressa preparazione.

E ora si chiede loro di prolungare l'anno scolastico, per tentare di ricordare ai ragazzi che la scuola è innanzitutto partecipazione umana, oltre che culturale. Un bellissimo pensiero, ma che va a scontrarsi con condizioni fisiche e mentali di totale stanchezza sia da parte dei docenti, che dei ragazzi. I quali tutti hanno urgente bisogno di ritrovare se stessi, prima di essere pronti a incontrare di nuovo gli altri, tutti gli altri. Certo l'esperienza della Dad non va gettata nel cestino con la fine della pandemia, anzi potrà contribuire a rendere la scuola più agile e il rapporto tra docenti e discenti più tranquillo e fiduciario perché non più dominato dall'ansia di verifiche a ripetizione, interrogazioni e ogni genere di prova, purché "in presenza", unica condizione per valutazioni serie e credibili.

Come sta accadendo anche ora soprattutto nelle scuole superiori. Situazione che rivela quanto poco la maggior parte dei docenti abbia creduto e creda nella validità dell'insegnamento a distanza. Del resto perché questo possa realizzarsi deve cambiare il rapporto docente-discente, che non può che nascere da una profonda stima reciproca e dal riconoscimento vero del ruolo di ciascuno. Ed anche da un radicale cambiamento di visione della realtà che mostri a tutti che "il nuovo" non è sempre da rifiutare. Ma, secondo me, il cammino sarà ancora lungo. E non certo facile.


Sara Gilotta

12.06.2021

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